Lo scorso 4 dicembre i KASABIAN hanno annunciato l’uscita di Happenings, il loro ottavo disco da studio.
Il lavoro arriva due anni dopo il precedente The Alchemist’s Euphoria.
Con l’allontanamento di Tom Meighan dalla band di Leicester, le redini sono ormai stabilmente nelle mani di Sergio Pizzorno che ha assunto anche il ruolo di frontman.
Nell’ultimo concerto, tenutosi lo scorso novembre a Los Angeles, del nuovo lavoro è stato presentata solo la canzone Algorithms. E dato che l’appuntamento all’Anfiteatro del Vittoriale apre il tour europeo dell’estate 2024, ci troviamo di fronte alla prima mondiale dal vivo di Happenings, che uscirà il 6 luglio.
L’album propone 10 canzoni per una durata di 26 minuti (un filo più breve del primo immortale LP dei Ramones…).
Intervistato da NME, Sergio Pizzorno ha spiegato che i brani sono lì per essere espansi: “Vogliamo mettere in scena i nostri Kasabian Happening in giro per tutto il mondo. I nostri saranno spettacoli tiratissimi. Prendiamo ispirazione dagli happening psichedelici della fine degli anni ’60: concerti eventi dove le cose avvenivano spontaneamente. Quindi il disco è nato pensando ai concerti. Volevamo che live e disco si nutrissero a vicenda. Essenzialmente si tratta di brani enormi, grandi, da suonare davanti a molte persone”.
Canzoni che hanno una struttura “superserrata che si può aprire e divenire maestosa”.
Happenings prende le mosse da un solo riff che Sergio Pizzorno aveva in testa dalla fine della registrazione di The Alchemist’s Euphoria. Il gruppo ci ha costruito sopra Call, la prima canzone a essere scritta, la prima a essere rilasciata, quella che ha imposto il senso, la direzione di tutto il lavoro: “Abbiamo seguito la lezione di Iggy Pop: le canzoni dovrebbero essere supersemplici, dire una cosa e dirla con il minor numero di parole possibile. Da subito ci è sembrata la prima cosa che la gente avrebbe dovuto sentire era Call. È una melodia davvero unica che ci rappresenta”.
La ricerca ha portato i KASABIAN verso la semplicità, verso un suono pulito e incisivo, verso un tentativo di sposare rock e pop, valorizzando le chitarre: “Ogni traccia ha il suo mondo. Bird In A Cage ha qualcosa di Trent Reznor, qualcosa di Britney Spears, qualcosa dei Beatles, qualcosa di Prince; Hell Of It sembra un J Dilla che incontra Justin Timberlake/Timbaland 2002, poi finisce in Parliament e Funkadelic, in più c’è un po’ di funk nigeriano degli anni ’70…“.